VALHALLA e Inferi

Mitologia

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  1. Phoenix di fuoco
     
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    VISTO CHE OGGI È IL COMPLEANNO DRL COLLEZIONISTA PIÙ FAMOSO DEI SAINT,MI È VENUTO IN MENTE DI APPROFONDIRE L'ARGOMENTO DEL VALHALLA MITOLOGIA NORDICA,CHE DEGLI INFERI MITOLOGIA GRECA/ROMANA.

    IL sogno di una morte vinta, sconfitta da un'immortalità conquistata con il proprio coraggio, è alla base della concezione nordica della Valhalla, "dimora degli uccisi". Mitico paradiso destinato ai guerrieri morti gloriosamente in battaglia, enfatizzato nelle opere wagneriane sino alla trasfigurazione, la Valhalla riassume ed esemplifica spazialmente molte ideologie arcaiche, in primo luogo quelle delle culture venatorie. Alcuni studiosi ritengono che il Colosseo romano sia stato il referente storico al quale si sono rifatti i nordici nel disegnare il tetro edificio che ospita gli einheriar, i "campioni".

    Il pensiero di ogni guerriero 1nell'attimo prima di indossare le armi e prepararsi alla battaglia era dedicato alla Vaìhalla. Ognuno scacciava la paura della morte, che aggrediva anche il più prode dei guerrieri, pensando al maestoso edificio che si stagliava, luminoso ed inaccessibile, lassù nel cielo, in mezzo alle dimore degli dèi, in Asgardh. Le travi che sostenevano l'immenso palazzo erano fatte con le lance acuminate dei più temerari guerrieri; il tetto poi era ricoperto di rilucenti scudi d'oro, finemente istoriati con scene di guerra; gli arredi interni erano fatti con le vesti dei soldati che fino all'ultimo respiro si erano battuti, sprezzanti del pericolo, in guerra. Ma solo i guerrieri più valorosi, gli einheriar, i "campioni", potevano oltrepassare una delle 540 porte della Valhalla, porte grandiose: da ognuna di essa potevano passare ben ottocento guerrieri allineati spalla a spalla. E proprio presso una di queste entrate si poteva assistere allo spettacolo offerto da un abilissimo giocoliere, capace di lanciare in aria ben sette spade d'oro massiccio, affilate come rasoi, e poi riprenderle al volo. La porta principale, però, quella destinata ai guerrieri scelti da Odino stesso e da lui presidiata, si trovava ad occidente: è il Valgrind, un maestoso cancello chiuso ermeticainente con una formula magica. Prima di varcare il Valgrind, i meritevoli trapassati dovevano guadare a nuoto il fiume Thund, attraversato da correnti insidiose e i cui frutti, infrangendosi su rocce taglienti, rimbombavano cupamente tutt'intorno. Il cancello, poi, era sorvegliato da un lupo famelico, emblema della ferocia guerresca, e da un'aquila, possente signora dei rapaci, i volatili guerrieri per eccellenza. All'interno del palazzo a loro destinato, i "campioni"trovavano un grandissimo cortile in grado di accogliere la moltitudine di morti prodotti dalle innumeri guerre scoppiate dall'inizio dei tempi. Nel cortile avevano luogo quotidianamente dei combattimenti tra dei veri e propri zombies (tali sono infatti gli einheriar) che ovviamente erano immuni da ogni ferita. Inoltre i campioni si allenavano improvvisando giostre cavalleresche, per prepararsi alla suprema ed ultima battaglia che avrà luogo alla fine dei tempi, quando, insieme ad Odino, saranno chiamati a combattere contro gli oscuri abitanti di Muspellheim. Altri personaggi essenziali della Valhalla erano le Valchirie, "coloro che scelgono gli uccisi in battaglia". Semidivinità femminili, armate di scudo e di lancia, invulnerabili ed immortali, le Valchirie cavalcavano nell'aria, durante le battaglie, sempre al fianco di Odino, pronte a raccogliere gli spiriti degli eroici combattenti. Nella Valhlla, però, le straordinarie amazzoni erano le coppiere dei campioni, ai quali portavano coppe ricolme di spumeggiante birra. Le strenue servitrici dei protetti di Odino, e che occasionalmente erano anche loro amanti, avevano dei nomi che richiamavano lo spirito guerriero. Così c'era Urist, "colei che fa tremare"; Skdguì, "furente"; Hild, "guerriera"; Randgrindhr, "portatrice di scudi"; Geirahodh, "battaglia di lance"; Herfjótur, "vincolo delle schiere"; Gdìl, "rumorosa". Benché fossero passati a miglior vita, i guerrieri conservavano tutto il loro famelico appetito e la loro sconfinata sete. La moltitudine di eroi veniva sfamata quotidianamente dal cuoco Andhrimnir, "faccia di fuliggine", che ogni giorno cuoce il cinghiale Sdhrminir, dotato dello stupefacente potere di resuscitare ogni volta all'alba, pronto per essere nuovamente cucinato nel pentolone Eldhrimnir, la "fumosa". Come bevanda gli eroi, oltre alla birra, sorseggiavano in continuazione l'idromele che sgorgava a fiotti dalle poppe di Heidrunn, una gigantesca capra che, appoggiata con le zampe posteriori sul tetto della Valhalla, brucava le foglie del pino Lóradhr, epigono del frassino dei mondo. Il divino patrono degli einheriar, il sommo Odino, si nutriva, invece, esclusivamente di vino, uno squisito nettare preparato apposta per lui.


    INFERI GRECO/ROMANI

    Gli inferi erano i luoghi dove risiedevano tutte le anime dei morti.
    Erano situati a volte sotto la terra, a volte al di là del fiume Oceano all’occidente estremo in una regione che i raggi del sole non illuminavano mai. È in questi luoghi che regnavano Ade e sua moglie Persefone.
    Per Ade si sacrificavano, unicamente nelle ore notturne, pecore o tori neri, e coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso: secondo Omero, infatti, Ade era il più ripugnante degli dei. Il suo culto non era molto sviluppato ed esistono poche statue con sue raffigurazioni.
    Dei pochi luoghi di culto a lui dedicati, il solo degno di nota è Samotracia, mentre si suppone ne esistesse un secondo situato nell’Elide, a nord ovest del Peloponneso; è possibile che un altro centro del suo culto si trovasse ad Eleusi, strettamente connesso con i misteri locali. Euripide indica che Ade non riceveva libagioni rituali.
    Gli inferi, che si chiamavano anche “l’Ade”, non hanno nulla a che vedere con la concezione cristiana dell’inferno. Agli inferi arrivavano tutte le anime dei defunti che venivano smistate in molti settori in funzione della loro vita terrestre.
    I greci, situavano le entrate degli inferi nelle caverne vicine del capo Tenare, al sud del Peloponneso; i Romani li supponevano nei pozzi del lago di Averno o nelle grotte di Cuma. Ma tutti gli anfratti e le incrinature potevano essere un’entrata potenziale del regno delle tenebre, un posto estremamente frequentato non solo dalle anime dei defunti; conoscendo il preciso rituale del sacrificio, anche i mortali, purché eroi o artisti, potevano avvicinarsi e parlare con le ombre dei personaggi famosi o dei parenti e di ciò ne fecero largo uso i poeti. Gli esempi più noti sono Omero che nell’Odissea fa scendere Ulisse agli Inferi, e Virgilio che nell’Eneide vi porta il suo eroe, Enea.
    fiumi:
    Lo Stige, le cui acque avevano anche il potere di dare l’immortalità: secondo il mito, infatti, è qui che Teti immerse il figlio neonato Achille per renderlo pari agli dei, tenendolo però per il tallone che non fu quindi toccato dall’acqua, rendendolo vulnerabile. Gli altri fiumi sono Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete.
    Tartaro:
    Circondato di un triplo di bronzo, il tartaro era il posto più profondo degli inferi. Fin dall’origine era una prigione per i dei o gli eroi che avevano infranto le leggi divine o semplicemente per mettere in stato di non nuocere i loro oppositori del momento.

    Crono vi aveva chiuso i ciclopi che Zeus consegnò per aiutarlo a conquistare il potere.
    Dopo la sua vittoria Zeus vi chiuse, a sua volta, i Titani che fece custodire dai tre Hekatoncheiri, esseri immani con cento braccia e cinquanta teste, Kottos, Briareos e Gyes.
    Zeus vi chiuse, tra gli altri, anche:

    Prometeo che, avendo portato alla gente il fuoco per scopi culinari e avendo permesso così alle persone di consumare carne, fu punito ed ebbe il fegato perpetuamente divorato dagli avvoltoi.

    Tantalo, che servì agli dei suo figlio Pelope tagliato a pezzi, tormentato dalla fame e la sete dinanzi ad un ruscello ed un albero da frutto inaccessibili.

    Sisifo obbligato a far rotolare un masso dalla base alla cima di un monte. Tuttavia, ogni volta che Sisifo stava per raggiungere la cima, il masso rotolava nuovamente alla base del monte.

    Ixion, padre dell’intera stirpe dei Centauri, ad eccezione di Chirone, attaccato ad una ruota infiammata che gira incessantemente per avere tentato di sedurre Era.

    In ogni caso anche gli dei temevano il tartaro. Esiodo personificò il Tartaro che si unì a Gea e generò molti mostri come Echidna e Tifone. A partire dal VI secolo a.C. diventò il luogo dove tutti i colpevoli subivano una punizione.

    Erebe:
    rappresenta la parte più scura degli inferni. È figlio del caos ed il fratello (ed il coniuge) della notte. I poeti lo assimilarono ad una regione degli inferi dove i cuori espiano temporaneamente i loro difetti.

    Pianura degli asphodèles:
    dove la maggioranza delle morti vi rimaneva per l’eternità.

    Campi Elisi:
    Era un posto rilassante ed il soggiorno piacevole dei giusti e degli eroi ma Achille stesso, secondo Omero, non si vide accordato questo privilegio.
    Sono cinque, nella mitologia greca, i fiumi che scorrono negli Inferi.
    L'Odissea ci fornisce alcune informazioni importanti; leggiamo i versi 513-515 del X libro del poema:
    ἔνθα μὲν εἰς Ἀχέροντα Πυριφλεγέθων τε ῥέουσιν
    Κωκυτός θ’, ὃς δὴ Στυγὸς ὕδατός ἐστιν ἀπορρώξ,
    πέτρη τε ξύνεσίς τε δύω ποταμῶν ἐριδούπων.

    Per l'interpretazione dei versi, serviamoci della bella traduzione di Ippolito Pindemonte:
    Rupe ivi s'alza, presso cui due fiumi
    S'urtan tra lor romoreggiando, e uniti
    Nell'Acheronte cadono: Cocito,
    Ramo di Stige, e Piriflegetonte.

    Vediamo qui citati quattro dei cinque fiumi, e apprendiamo che dallo Stige si dirama il Cocito, e che il Cocito e il Piriflegetonte sono affluenti dell'Acheronte.
    Il nome greco del Cocito, Κωκυτός può essere interpretato come Fiume dei lamenti. Il suo nome riporta infatti alla radice del verbo κωκύω, che significa “gemere”. Le sue acque sono gelide: il Cocito è forse un fiume di ghiaccio.
    Il Piriflegetonte, il cui nome significa Ardente di fuoco, è noto anche e soprattutto come Flegetonte (ossia Ardente). Se il suo nome è interpretato letteralmente, il Piriflegetonte va inteso come un fiume di fuoco.
    Dello Stige sappiamo che le sue acque avevano poteri magici: gli dèi erano soliti giurare al cospetto di una brocca contenente la sua acqua¹, che Iris provvedeva a prelevare e portare sull'Olimpo; cosí giura ad esempio Era nell'Iliade. Si trattava di un giuramento solenne, il mancato rispetto del quale avrebbe esposto il dio spergiuro a terribili castighi, fra cui la perdita del respiro e della possibilità di alimentarsi, e una lunghissima segregazione dalla comunità olimpica. Fu pure nelle acque dello Stige che Achille, appena nato, fu immerso dalla madre Teti, affinché gli fosse conferita l'invulnerabilità. Il nome di questo fiume, Στύξ, potrebbe essere connesso con la radice del verbo στυγέω, che significa “odiare”.
    L'Acheronte è il fiume che le anime dei defunti devono attraversare per recarsi negli Inferi. Le sue acque sono stagnanti e melmose. Le anime dei morti sono traghettate da una riva all'altra da Caronte. Sappiamo che Acheronte fu un tempo un titano, figlio di Gea, ma fu condannato da Zeus a mutarsi in un fiume sotterraneo per aver offerto da bere ai giganti.
    Scorreva negli Inferi anche un quinto fiume, il Lete, le cui acque venivano bevute dai defunti, che cosí dimenticavano la loro vita terrena. Il nome greco del fiume, Λήθη, risale in effetti alla medesima radice che genera il verbo λανθάνω, il cui significato è appunto “dimenticare”. Si dice che la dea Lete, figlia di Eris, volle dare il proprio nome alla sorgente del fiume.
     
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