Vendetta

La vendetta di Arles vista in epoca Greca-Romana

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Phoenix di fuoco
     
    .

    User deleted


    BUON SABATO DA IKKI,CAVALIERE DELLA FENICE E DETENTORE DEL SACRO FUOCO ETERNO E CAVALIERE AL SERVIZIO DELLA DEA ATHENE.

    OGGI VOGLIO PARLARVI DI UN ARGOMENTO VISTO MOLTE VOLTE NELLA NOSTRA SERIE DEI SAINT SEIYA CIOÈ LA VENDETTA,
    QUESTO SENTIMENTO MOLTO AMBIGUO LO VOGLIO ASSOCIARE E CONFRONTARE IN EPOCA GRECO-ROMANA.

    Le Erinni (in greco: Ερινύες) sono, nella mitologia greca, le personificazioni femminili della vendetta (Furie nella mitologia romana).
    Secondo la leggenda esse nacquero dal sangue di Urano, fuoriuscito quando Crono lo evirò, mentre un’altra tradizione le dice figlie della Notte.
    era innamorato di lei, ma Nemesi rifiutava i suoi favori. Per sfuggirgli si trasformò in una oca selvatica. A sua volta, Zeus si trasformò in un cigno e la raggiunse a Ramnunte. Lì Nemesi depose un uovo, che abbandonò subito. Un pastore lo scoprì e lo portò a Leda, regina di Sparta. La donna lo tenne al caldo, altre versioni indicano che lo mise in un cofanetto, e da quell'uovo nacque la bella Elena.
    Erano tre sorelle demoniache abitatrici degli inferi: Aletto, Megera e Tisifone. Secondo la più accreditata interpretazione, esse rappresentavano il lancinante rimorso che scaturiva dai fatti di sangue più efferati.
    Al fine di placarle, vennero chiamate anche Eumenidi (ossia, le “benevole”), si porgevano loro varie offerte e ad esse si sacrificavano le pecore nere. Le Erinni erano anche indicate con altri epiteti, come Semnai o Potnie (“venerabili”), Manie (“folli”) e Ablabie (“senza colpa”).
    Venivano rappresentate come geni alati, i capelli formati da serpenti, recanti in mano torce o fruste.
    Il loro compito era quello di vendicare i delitti, soprattutto quelli compiuti contro la propria famiglia, torturando l’assassino fino a farlo impazzire.
    Esse sono chiamate anche Dire da Virgilio
    Spesso presenti nella cultura classica – emblematico, in proposito, il ruolo che assumono nell’Orestea di Eschilo – ritornarono sovente, come riferimento colto, tanto nella cultura medievale – Dante le indica come le custodi della città infernale di Dite [2] – quanto in quella moderna e contemporanea, pur se, in quest’ultima, in modo abbastanza sporadico. Le si trovano anche nel romanzo “Le Benevole” di Jonathan Littell.
    Nella Medea di Euripide il coro invoca il raggio divino affinché fermi, ad evitare l’incombente duplice infanticidio, la mano di Medea, posseduta dalla sanguinaria Erinni, che le infonde lo spirito di vendetta.
    LE PARCHE O MOIRE
    «Ma perché lei che dì e notte fila,
    non gli aveva tratta ancora la canocchia,
    che Cloto impone a ciascuno e compila…»
    (Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)

    Le Parche (in latino Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.
    In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.

    Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.
    In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell’uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno ad ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l’inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.
    Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero “destino”).
    Nel Foro, in loro onore, erano state realizzate tre statue, chiamate tria Fata (“i tre destini”).
    MOIRE
    « Notte poi partorì l’odioso Moros e Ker nera
    e Thanatos (morte, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;
    non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;
    e le Esperidi che, al di là dell’inclito Oceano, dei pomi
    aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;
    e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:
    Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali
    quando son nati danno da avere il bene e il male,
    che di uomini e dei i delitti perseguono;
    né mai le dee cessano dalla terribile ira
    prima d’aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato. »(Teogonia di Esiodo, vv. 211-222)
    Le Moire è il nome dato alle figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke[1]. Ad esse era connessa l’esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile.
    Erano tre: Cloto, che filava lo stame della vita; Lachesi, che lo svolgeva sul fuso e Atropo che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini. A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.
    Si tratta di tre donne dall’anziano aspetto che servono il regno dei morti, l’Ade.
    Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci.
    Pindaro, in epoca più tarda, le indicò invece come le ancelle di Temi, al suo matrimonio con Zeus.
    Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all’obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l’ordine dell’universo, al quale anche gli dei erano soggetti.
    Si dice anche che avessero un solo occhio grazie al quale potevano vedere nel futuro e che spartivano a turno tra loro.

    LE GORGONI
    Le Gorgoni sono figure della mitologia greca, erano figlie di Forco e di Ceto.
    Erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa. Di aspetto mostruoso, avevano ali d’oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli e la loro bruttezza era tale da impietrire chiunque le guardasse. La gorgone per antonomasia era Medusa, la più famosa delle tre e loro regina, che, per volere di Persefone, era la custode degli Inferi.
    A differenza delle sorelle era mortale. Il mito narra che Perseo, avendo ricevuto l’ordine di consegnare la testa di Medusa a Polidette, signore dell’isola di Serifo, si recò prima presso le Graie, sorelle delle Gorgoni, costringendole a indicargli la via per raggiungere le Ninfe. Da queste ricevette sandali alati, una bisaccia e un elmo che rendeva invisibili, doni ai quali si aggiunsero, uno specchio da parte di Atena e un falcetto da parte di Ermes.
    Così armato, Perseo volò contro le Gorgoni e, mentre erano addormentate, guardandone l’immagine nello specchio divino di Atena per evitare di rimanere pietrificato, tagliò la testa a Medusa e la chiuse subito nella bisaccia delle Graie. Dal tronco decapitato di Medusa uscirono, insieme ai fiotti di sangue, il cavallo alato Pegaso e Crisaore, padre di Gerione.
    Perseo donò la testa della gorgone alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici.
    ANANKE
    Nella mitologia greca, Ananke (o Ananche) (greco Ἀνάγκη) era la personificazione del destino, della necessità inalterabile e del fato.
    Ella era anche la madre di Adrastea e delle Moiri.Inizialmente era identificata con Adrastea stessa. Per Omero ed Esiodo appare come la forza che regola tutte le cose, dal moto degli astri ai fatti particolari dei singoli uomini.
    Veniva adorata raramente ma aveva una certa importanza nei culti misterici come nell’ Orfismo.
    Nella mitologia romana, venne chiamata Necessitas (“necessità”) ma rimase sempre un’allegoria poetica priva di un vero culto. Qualche volta è stata identificata con Dike, la giustizia e come opposto aveva Tyche, la fortuna. A Corinto condivideva un tempio con Bia la violenza.
    I poeti sono concordi nel descriverla come un essere inflessibile e duro.

    Nemesi (Némesis) nella mitologia greca era la dea della vendetta, l’espiazione fatale ed ineluttabile di una colpa che castigava ogni tentativo di uscire dal limite imposto dalla propria natura. Era anche la dea della giustizia distributiva (a ciascuno il suo).
    Gheorghe Tattarescu - Nemesis (1853)
    Secondo Esiodo, Nemesi era la figlia di Erebo e di Nyx (Notte). Nemesi personificava la legge morale che condannava ogni eccesso.
    Statue_Nemesis_LouvreI soprannomi più comuni erano:
    Rhamnousia / Rhamnusia (“la dea di Rhamnous”) in riferimento al suo santuario di Rhamnous, a nord di Maratona. In questo caso personificava lo spirito della divina vendetta contro chi soccombe a causa dell’estremo orgoglio e della eccessiva fiducia in se stessa.
    Nelle tragedie greche Nemesi appare soprattutto come la dea vendicatrice che punisce i reati legati alla hubris (estremo orgoglio o fiducia in se stessi).
    Hubris (tracotanza) spesso indica una perdita di contatto con la realtà e una sovrastima della propria competenza o delle proprie capacità, soprattutto quando la persona in oggetto è in una posizione di potere.
    Nel mito Nemesi era particolarmente interessata alle questioni d’amore. Lei appare come un’agente vendicatrice nelle storie di Narciso e di Nicea, che con le loro insensibili azioni avevano portato alla morte dei loro corteggiatori.
    Secondo una leggenda Zeus s’innamorò di Nemesi. Quest’ultima non voleva avere un amante e cercò di fuggire trasformandosi in vari animali (compreso il pesce), ma ciò non scoraggiò Zeus che poteva fare lo stesso. Infine, mentre Nemesi aveva preso la forma di un’oca selvatica, Zeus si trasformò in cigno e riuscì ad avvicinarsi da solo o forse con la complicità di Afrodite, trasformata in un’aquila che fingeva di inseguire il povero cigno. Quest’ultimo trovò rifugio presso Nemesi che ingenuamente lo avvolse con tenerezza nelle sue ali e si addormentò. Zeus abusò dell’oca-Nemesi mentre dormiva. Qualche tempo dopo la dea_oca ripose un uovo vicino a Sparta. L’uovo fu donato da un agricoltore a Leda, moglie di Tindaro.
    Da quell’uovo nacquero i Dioscuri ed Elena, quest’ultima all’origine di uno dei conflitti più famosi dell’antichità: la guerra di Troia.
    Originariamente l’arte antica rappresentava Nemesi con le stesse caratteristiche di Venere. Più tardi fu rappresentata come una figura grave e severa.
    Nemesi era spesso raffigurata come una dea alata. I suoi comuni attributi erano le ali, la ruota, la bilancia, il grifo, la spada, la frusta. I Romani di solito usavano il nome greco della dea, ma a volte la chiamano anche con i nomi di Invidia (Gelosia) e Rivalitas (Rivalità).
    Il più famoso tempio dedicato a Nemesi è stato quello di Ramnunte nell’Attica.

    PICCOLA VARIANTE
    ERINNI: divinità minori della Grecia antica, personificazione della maledizione furibonda e della vendetta punitiva. Secondo Esiodo nacquero dal sangue sgorgato dai genitali di Urano che cadde sulla terra quando Crono lo castrò.
    Secondo un'altra versione nacquero dalla Notte. Mentre in antico il loro numero è incerto e va da una a tre, con Euripide compaiono regolarmente in numero di tre, e nell'età ellenistica e in Virgilio con i nomi di Aletto ("l'incessante"), Megera ("la maligna") e Tisifone ("la vendicatrice"). Sono raffigurate come geni alati, i cui capelli sono intrecciati di serpenti; tengono in mano torce o fruste.
    In senso più generale le Erinni stanno dalla parte dell'ordine stabilito. Insorgono contro la violazione di ogni diritto, specialmente quando si offendono con spargimento di sangue i diritti della famiglia, in particolar modo chi si è macchiato di delitti quali il parricidio, il fraticidio e l'assasinio d'un amico. Ma essenzialmente le Erinni avevano il compito di punire i trasgressori delle leggi "naturali". Il filosofo Eraclito dice che se il sole avesse voluto cambiare il suo corso esse sarebbero state in grado di impedirglielo. In tempi antichi gli uomini non avevano la possibilità e nemmeno il diritto di punire tali orrendi crimini e veniva lasciato alle Erinni il compito di perseguitare il colpevole. Il concetto di Nemesi supera addirittura quello delle Furie; anche Nemesi controllava che alla fine la vendetta fosse compiuta.
    Nelle Eumenidi di Eschilo, terza parte dell'Orestea, la trilogia sulla morte di Agamennone e la vendetta dei suoi figli, le Erinni perseguitano Oreste colpevole d'aver ucciso la madre Clitennestra per vendicare la morte del padre Agamennone. In questa tragedia, che la prima volta che venne rappresentata terrorizzò il pubblico, le Erinni erano inserite nel coro. Venivano rappresentate con teste di cane, ali di pipistrello e occhi iniettati di sangue; stringevano nelle mani pungoli di bronzo. Era il gesto commesso da Oreste ciò che interessava alle Erinni, non che fosse fatta giustizia o usata clemenza. Persino Apollo si trovò a fronteggiare la loro implacabile vendetta poiché egli stesso aveva deciso della morte di Clitennestra per mano di Oreste e l'aveva poi protetto a Delfi, il suo altare sacro. Le Erinni secondo Eschilo, lo inseguirono fin lì e finalmente gli dèi riuscirono a convincerle ad accettare il verdetto dell'antica corte ateniese dell'Areopago. Atena, patrona della città, intervenne e stabilì di dare il suo appoggio a Oreste se in cambio egli avesse rubato la sacra immagine di Artemide nel Chersoneso taurico per riportarla ad Atene; e le Erinni con il nome di Eumenides ("gentili") o Semnai Theai ("venerabili") vennero poi venerate ad Atene.
    Le Erinni perseguitarono anche Alcmeone, colpevole di matricidio. Come Oreste, pur avendo ricevuto da Apollo l'ordine di vendicare il padre, venne ugualmente perseguitato dalle Erinni, e attraversò tutta la Grecia finché trovò rifugio su una nuova terra che non era ancora nata al tempo dell'uccisione di sua madre e sfuggì in questo modo ai poteri delle sue persecutrici. Edipo, a sua volta tormentato dalle Erinni per l'uccisione del padre, non ebbe pace che con la morte.
    Le Erinni provocavano nelle loro vittime la pazzia, torturandole in tutte le maniere. Cosa il nome Erynies significasse non è certo, ma i Greci erano riluttanti a pronunciarlo e gli Ateniesi, per evitarne le nefaste influenze, preferivano usare gli eufemismi "Gentili" e "Venerande".
    In Arcadia v'era un luogo dove si trovavano due templi alle Erinni; in uno erano chiamate maniai ("che mandano la pazzia"); e fu proprio qui che, di nero vestite, assalirono Oreste per la prima volta. In quei pressi, secondo le cronache associate alle Grazie (Charites, "spiriti del perdono"); e qualche tempo dopo, questa volta vestite di bianco, benedirono Oreste il quale offrì loro sacrifici.
    Secondo alcuni autori le Erinni avevano dimora nel Tartaro e quando non percorrevano la terra per punire i colpevoli, si dedicavano a torturare i dannati. Questa doppia dimora si collega forse alle due diverse storie della loro nascita: figlie della Terra o della Notte, ma secondo una versione alternativa erano nate da Ade, dio del Tartaro e da Persefone, e proprio come i due dèi degli inferi avevano una doppia natura, benigna e maligna.
    I Romani le chiamarono Furiae o Dirae deae, e con tale nome esse entrarono nella mitologia romana, dove appaiono solo quali divinità malefiche.
     
    Top
    .
0 replies since 18/6/2016, 10:07   14 views
  Share  
.
Top